venerdì 22 aprile 2016

Intorno alla solidarietà


Sono solito transitare, specialmente dopo certi pranzi degni di un banchetto a Versailles, sulla superficie della mia tenuta. Cammino e cammino osservando le stesse scene. Ovviamente, abitando qui da molto, le scene sono sempre simili, si  intende!  Nonostante  le  diverse  strade  accessibili  fuori  dall'uscio  di  casa,  mi avvio per la solita, quella a sinistra. Non so bene il motivo di questa scelta, ho sempre fatto così e, conoscendomi, sempre lo farò.  Non che cambi qualcosa, la meta è la stessa. Ogni  volta,  dopo  pochi  passi,  mi  accorgo  del  tordo  che  picchia  sul  legno, dell'irrefrenabile  e  inarrestabile  vita  in  campagna e  delle  automobili all'orizzonte, che appaiono ai miei fantasiosi occhi come tante formiche intente a cercare cibo per l'inverno. Queste scene ricorrenti potrebbero portare alla noia qualsiasi persona dotata di senno. Nel mio caso, l'unica cosa che mi salva sono i pensieri, che sono solo miei  e  nascono  sempre  nel  momento  in  cui  mi  seggo  sul  "baratro",  come  mi diverto  a  definirlo,  cioè  una  sporgenza  lastricata  sulla  quale  è  fissata  una ringhiera vecchia e talmente arrugginita da far sgretolare la vernice rossa di cui un  tempo  era  ricoperta.  Con  le  gambe,  dal  ginocchio in  giù,  penzolanti  nel vuoto, guardo fin dove l'occhio mi permette. Quel  giorno,  inizialmente  mi  sembrava  tutto  statico,  immobile,  intonso,  ma socchiudendo  gli  occhi  e  fermandomi  un  attimo,  mi  accorsi  di  come  tutto avesse - e abbia continuamente - vita e movimento. Le foglie degli alberi si muovono, cadono, perché  qualcosa più forte di loro, il vento,  le  stacca  dal  ramo,  le  toglie  prepotentemente  dal  comodo  alloggio  sui rami più alti, e la loro "vita" in qualche modo cambia, in maniera irreversibile. Cosa può fare la foglia, sola e staccata da un ramose non morire, per terra e sola? 
Guardai  l'orizzonte  e  vidi  le  “formiche”  di  prima:  l'uomo  non  è  abbandonato come le foglie, è un animale sociale, ma, nonostante questo, sembra talmente solo! Le persone danno l'impressione che quello che stanno facendo sia la cosa più importante, sono indaffarate nelle loro faccende e non hanno mai il tempo di fermarsi a parlare o a osservare la natura, come tanto piace fare a me. Ma 
cos'hanno da agitarsi tanto?  Quale  sarà il  vento  che  staccherà  l'uomo  dal  suo ramo? Pensai che i venti responsabili di questo sono molteplici, sicuramente più di quelli esistenti su una carta nautica. Allora la domanda mi sorse spontanea: perché siamo ancora qui? Cosa salva l'uomo dalla morte in solitudine nella terra fredda? Anche la risposta nacque spontanea: è l'UOMO. Non  siamo  soli,  non  dobbiamo  pensarlo  mai,  importante  è  ricordarsi  che  c'è sempre  qualcuno  che  pensa  a  noi  e  che  ascolterà  il  nostro  appello  di  aiuto, questa è la solidarietà dell'uomo. Parlo di qualcosa di più della solidarietà che nasce ovvia tra fratelli, tra padre e figlio, tra amici e tra innamorati, no, intendo 
quel  forte  sentimento motore delle  azioni  più  belle, l’aiuto  spontaneo  ad  una persona in difficoltà, per esempio. Ma non mi soffermerei soltanto sulle azioni che  possono  confortare  nell'immediato,  bensì  sul  supporto  morale,  la comprensione e la vicinanza continua ad una persona, il che può aiutare anche più di un semplice soccorso temporaneo. 
E' forse questa la risposta alla domanda che, seduto sulla sporgenza a osservare l'agitazione innata delle persone vuote, mi posi. Ecco perché non moriamo soli, per terra, come le foglie. E’ chiaro, c'è sempre qualcuno disposto a raccoglierci e a riportarci sul nostro ramo, sussurrandoci che la vita va avanti e che anche nei  momenti  più  bui,  quando  ci  chiediamo  il  perché  della  sofferenza  nostra e altrui, esiste un motivo per continuare a osservare l'orizzonte. Questi pensieri - che mi sovvenivano non per la prima volta - mi spaventarono più del  dovuto,  poiché anche  io a  volte dimentico  che è  inutile agitarsi  tanto, veramente inutile. 
Sbattei  gli  occhi  e  alzai  il  braccio,  guardai  il  quadrante  dell'orologio:  si  erano fatte  le  sei.  Mi alzai  e  mi  stiracchiai  assonnato.  La  luce  proveniente  dal  sole gettava una strana ombra sulla pianura, rendeva tutto incredibilmente magico e mutevole.  Il  sole  è  come  un  magnifico  padre.  Ah,  se solo  potessi  essere  così incandescente! Mi girai verso casa e mi misi a correre, lasciando i pensieri e le formiche nella valle ai loro così importanti affari. Non ricordo neanche il perché della  corsa,  ero  ormai  troppo,  inutilmente,  concentrato  nel  ritornare  alla  mia solita vita lontana dal "baratro". 

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